La comunicazione non verbale nei bambini

Esiste una differenza circa la finalità della comunicazione nell’adulto e nel bambino. Per l’adulto comunicare significa soprattutto parlare, esprimersi. Tuttavia, diversi studi indicano come anche negli adulti la parte di comunicazione verbale sia nettamente inferiore a quanto il corpo comunica:

[caption id="attachment_2553" align="alignleft" width="1203"] LA COMUNICAZIONE VERBALE E NON VERBALE[/caption]

[queste percentuali derivano da uno studio condotto nel 1972 da Albert Mehrabian]

All’opposto per il bambino comunicare significa soprattutto mettersi in condizione di essere ascoltato e quindi capito.

Tutti i bambini, appena nati, mettono in atto strategie di comunicazione di cui hanno bisogno vitale, perchè attraverso la comunicazione esprimono i propri bisogni e possono imparare per crescere.  Per comunicare usano un proprio linguaggio che dapprima non è costituito da parole ma da atteggiamenti e da comportamenti che, una volta riconosciuti dagli adulti, permettono ai bambini di esprimere le loro richieste, esigenze, fabbisogni.

Ne abbiamo già parlato a proposito del pianto dei neonati,  che rappresenta il primo potente mezzo di comunicazione. Ma non esiste solo il pianto per capire ciò che il bambino chiede e soprattutto per comunicare con lui in entrambe le direzioni. Tutto nel neonato è comunicazione, a volte fraintesa dagli adulti: ne sono un classico esempio i primi sorrisi, con i quali in realtà il neonato non esprime la sua gioia e il suo gradimento per il volto della mamma o del papà (infatti sorride a tutti), ma la sua voglia di comunicare.

A loro volta, i neonati comprendono molte cose di noi adulti non soltanto dalle parole o dal tono della voce che usiamo, ma anche e soprattutto dagli sguardi, dai gesti, dall’atteggiamento che abbiamo nei loro confronti. Gli atteggiamenti possono essere percepiti come positivi o negativi. Un esempio di atteggiamento percepito come negativo: dare il ciuccio a un bambino che piange può essere percepito dal bambino come messaggio che non si ha voglia di comunicare con lui in quel momento; significa volerlo tacitare temporaneamente e non occuparsi del problema che in quel momento lo fa piangere.

Gli atteggiamenti positivi che gli adulti (educatori, genitori) possono mettere in atto per entrare in comunicazione con i bambini, anche i più piccoli, sono infiniti: attenzioni, carezze, massaggi, tenerezze, baci, tentativi di conversazione. Non è assolutamente vero che i bambini piccolissimi non capiscono ciò che viene loro detto. Forse non capiranno il significato delle parole, ma il tono di voce, il volume e la velocità con cui le pronunciamo, la mimica facciale che usiamo mentre parliamo loro, la vicinanza e i movimenti del corpo costituiscono la COMUNICAZIONE NON VERBALE che è anche la comunicazione più efficace con i bambini. 

Come possiamo quindi utilizzare al meglio il nostro corpo per comunicare con i bambini?

Prestiamo attenzione ad alcuni canali privilegiati di comunicazione:

  • la mimica facciale
  • lo sguardo
  • il tono dell voce
  • la postura del corpo
  • la gestualità

Lo sguardo: quando parliamo ad un bambino, è importante guardarlo, perchè la prima forma di comunicazione passa attraverso gli occhi. Nel neonato lo sguardo diretto occhi negli occhi può essere molto breve, non ci si deve aspettare uno sguardo lungo e concentrato. L’importante è che il bambino “percepisca” di essere guardato, si senta sempre rassicurato e comprenda che l’adulto è lì per lui.

La mimica facciale: Il volto è il luogo dove si concentra la maggior parte delle informazioni di un processo comunicativo, sia in “uscita”, sia come chiave di lettura di chi guarda. Secondo gli scienziati il nostro volto comunica attraverso la mimica facciale almeno 22 emozioni! I bambini percepiscono ogni espressione del nostro volto, e la associano agli altri segnali che emettiamo: se corrughiamo la fronte può significare perplessità o disagio; le sopracciglia inarcate comunicano l’arrabbiatura, gli angoli della bocca all’insù in un sorriso comunicano vicinanza e benessere. L’importante è che l’adulto non esprima attraverso la mimica facciale un messaggio in contrasto a quello degli altri segnali corporei: questo potrebbe disorientare il bambino, e fargli perdere sicurezza nell’interpretazione della comunicazione.

Il tono dell voce: come parliamo ai bambini, con quale tono, con quale volume e anche con quale velocità sono segnali molto importanti nella comunicazione. Conosciamo tutti il “mammese”, quel tono di voce tipico delle mamme (ma adottato da molti adulti quando si rivolgono a neonati e bambini piccoli), ma forse non sappiamo che questo tono di voce secondo alcuni studi cattura l’attenzione dei più piccoli come una calamita.

La postura e il linguaggio del corpo: anche questi sono canali comunicativi importanti, in quanto confermano o contraddicono il messaggio che stiamo trasmettendo con le altre modalità. Un’educatrice che passa il tempo in sezione in atteggiamento rigido, con braccia incrociate, magari con il corpo girato in posizione opposta a quella dei bambini, di certo non comunica attenzione ai loro bisogni. Al contrario, un’insegnante che rivolgendosi ai bambini si dimostra rilassata, con gambe e braccia aperte e “accoglienti”, il busto orientato verso i bambini, trasmetterà fiducia e senso di empatia. Infine, ricordiamo il potere del contatto fisico! 

Un abbraccio, una carezza, un tocco gentile: anche queste sono forme di comunicazione non verbale, che trasmettono un milione di sensazioni positive.


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