Famiglia e nido: dalla competizione alla collaborazione

La testimonianza di un’educatrice:

Nella collaborazione gomito a gomito con la famiglia abbiamo imparato moltissimo! Abbiamo soprattutto imparato che la qualità della nostra relazione con i bambini dipende in larga misura dalla fiducia con la quale le famiglie ci affidano i loro piccoli…Abbiamo pensato che quella fiducia sarebbe sgorgata più fluida se ci fossimo mostrate determinate, lucide, chiare nei nostri obiettivi e nelle nostre finalità educative… Abbiamo riempito di spiegazioni e proposte gli spazi degli incontri di sezione e dei colloqui…Abbiamo spiegato analiticamente pacchi e pacchi di programmazioni educative per le quali democraticamente si chiedeva alle famiglie condivisione, ma anche critica, richieste di spiegazioni, proposte, chiarimenti. L’accoglienza tiepida, interrogativa, poco animata di queste nostre fatiche ci deludeva. Nel silenzio dei nostri perché, tra le perplessità e le incertezze sul come procedere, la voce dei genitori prima solo bisbigliata a due a due o a piccoli gruppi, piano piano si alzava e raccontava: non del bambino senza volto che aveva raggiunto la presa a pinza o la “costanza dell’oggetto” o era nella fase della crisi di riavvicinamento, ma di Pietro che non vuole andare mai a letto la sera; di Marta che piomba sempre a metà notte nel lettone, di Francesca che non mangia più. È così anche al nido? Racconti che ci catturavano, ci prendevano perché ci restituivano una immagine più vivida, più sfaccettata, più colorata di quei bambini a noi affidati… Ma erano discorsi, momenti lasciati in coda o a margine, a lato, nell’ attesa che cominciasse la riunione vera. O no? O poteva non essere così? Forse questi racconti – che spontaneamente univano un prima del nido ad un dopo, che parlavano non di un bambino in generale, ma di quel bambino lì, in quel momento lì… potevano costituire non le chiacchiere a margine, il fuori tema, ma proprio il tema, l’oggetto dei nostri incontri di sezione… Questo allora poteva essere il nostro nuovo compito; garantire che ci fosse uno spazio di parola possibile per tutti. Allora non tanto saper parlare, quanto saper ascoltare. Non tanto o solo dire la nostra opinione, non solo occupare lo spazio con la nostra professionale visione, ma chiedere il loro personale punto di vista tollerando il tempo, il silenzio e lo sconcerto iniziale di chi si sentiva richiesto di una propria opinione magari esplicitata per la prima volta…”

 

L’educatrice ha bisogno di osservare la relazione adulto/bambino e, contemporaneamente, per inserirsi nel sistema relazionale in cui il bambino vive, deve tessere relazioni di fiducia, collaborazione e alleanza con i genitori. Costruire e mantenere un dialogo relazionale con le famiglie non è dunque un lavoro accessorio, limitato al periodo di ambientamento, ai colloqui o a quel che rimane della “gestione sociale”, ma un momento essenziale del Progetto del Servizio, che deve costantemente essere in ascolto della “richiesta di relazione” dei genitori, aiutandoli ad esprimerla, perché il più delle volte non riescono a manifestarla da soli. Il nido deve quindi ripensarsi con una identità più articolata: ovviamente come un contesto educativo progettato per il benessere e la relazione con il bambino, ma anche, proprio perché si occupa dei bambini, come un luogo che si occupa e pre-occupa anche dei loro genitori.

 
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