I bambini e gli stereotipi di genere
Se giocando s’impara, perché un maschio non dovrebbe divertirsi con un bambolotto e prepararsi a fare il genitore? E perché una femmina non dovrebbe usare costruzioni ed esperimenti preparandosi ad essere un’architetta, un’ingegnera, una scienziata?
Judith Tissi Pinnock
Tanto scalpore ha suscitato nei giorni scorsi la foto di un libro di lettura per le classi primarie in cui i bambini dovevano scegliere i verbi “adatti” a definire le azioni dei soggetti “mamma” e “papà” (vedi qui a lato). Questo ha provocato una riflessione collettiva sulle modalità con cui sono rappresentati, sui libri scolastici e in generale sui libri per l’infanzia, le connotazioni del maschile e del femminile.
Ne è emerso un quadro abbastanza variegato, che oscilla tra due estremi: le rappresentazioni “stereotipate” e quelle che potremmo definire “anticonvenzionali”.
Nelle rappresentazioni “stereotipate”, si tende a rappresentare l’idea che i comportamenti di maschi e femmine siano definiti, distinti e immutabili. Che cosa significa “stereotipo di genere”? Significa che, in modo piuttosto semplificato e rigido, non si tiene conto delle differenze individuali, ma si tende a incasellare i comportamenti maschili o femminili secondo la loro rispondenza a un modello sociale e culturale predefinito. In sostanza, si tende ad attribuire a donne e uomini (e quindi a bambine e bambini) ruoli determinati e limitati al loro sesso.
Un esempio? I film a cartoni animati del 900 sono classicamente impostati su stereotipi di genere (basti pensare alle favole di Biancaneve, Cenerentola . co).
Gli stereotipi di genere non si limitano a definire i ruoli maschio/femmina sul piano sociale, professionale e della vita familiare, ma in genere attribuiscono anche caratteristiche comportamentali e psicologiche differenziate.
Ad esempio, una visione sterEotipata è quella che attribuisce a “tutte” le donne (e alle bambine) atteggiamenti caratterizzati da emotività, tenerezza, affettuosità, debolezza, comprensione, paura, impulsività… mentre gli uomini (e i bambini maschi) vengono considerati forti, competitivi, razionali, amanti del rischio, indipendenti, avventurosi.
Da quarant’anni a questa parte anche la pedagogia si interroga sul complesso rapporto fra educazione e genere, attraverso una serie di studi che mirano ad approfondire soprattutto questi aspetti:
- quali sono i modelli impliciti (o stereotipi) di bambine e bambini cui fanno riferimento quotidianamente le insegnanti, le educatrici, le famiglie
- come tali modelli si traducono nella pratica educativa (ad esempio nelle regole, nei rinforzi, nelle sanzioni).
Nell’ambito educativo il ruolo degli educatori non è tanto quello di criticare o demolire uno stereotipo, e nemmeno plasmare il genere, quanto piuttosto crescere bambini e bambine con un buon livello di autostima.
Per far questo, è importante ripensare l’intervento educativo partendo dall’attenzione ai generi, con il fine non tanto di demolire le differenze, ma piuttosto valorizzarle, perchè è dalla valorizzazione delle differenze che nasce la ricchezza di possibilità.
L’intento è quello di trovare gli strumenti per far si che i bambini e le bambine, sulla strada della conoscenza di Sè, riescano a sfruttare positivamente le opportunità offerte dalla complessità e dalla differenza. Non siamo tutti uguali, non siamo tutti neutri, non tanto perchè apparteniamo a generi diversi, ma perchè siamo tutti persone diverse e per questo è utile per la nostra crescita personale il confronto con altre diversità. Differenze di abitudini, di origini, di lingua, di genere, di credo religioso, di composizione familiare … elementi interessanti, da cogliere e accogliere per permettere alle bambine, ai bambini e alle loro famiglie di abitare i servizi educativi trovando spazio per manifestare la propria unicità, senza etichette ma piuttosto trovando riconoscimento, interesse e valorizzazione.
Soltanto passando attraverso:- la consapevolezza di sè
- la consapevolezza dell’altro da sè (delle differenze)
- la consapevolezza del contesto
il bambino può approdare ad una libera conoscenza della propria personalità, senza condizionamenti, il che si traduce in un buon livello di autostima.
Come aiutare i bambini in questo percorso Gli educatori, per aiutare i bambini nel loro percorso di affermazione di sè, possono ad esempio:- imparare a riconoscere gli stereotipi e considerare come fanno parte della nostra cultura, formazione, tradizione per poi imparare a conviverci in modo sereno, senza giudizio.
- evitare che tali stereotipi e preconcetti si manifestino negli interventi educativi. Ad esempio evitando commenti verbali del tipo: “Se piangi sembri una femminuccia” oppure proposte di azioni concrete come ad esempio scegliere molte attività motorie per i maschi solo perché sono maschi. Oppure, ancora evitando di rafforzare la catalogazione dei comportamenti legati alle differenze di genere, in particolare nel delicato momento dalla scuola dell’infanzia in su quando i bambini e le bambini scoprono la differenza di genere e la interiorizzano.
- scegliendo letture, albi illustrati, giocattoli che non insistono sulle differenze di genere ma che possano essere letti, scelti e usati da qualsiasi bambino o bambina.
- adottare la pedagogia dell’ascolto [A. Ginzburg], che permette all’ educatore di ascoltare e di accogliere le emozioni dei bambini, e di favorire nel gruppo di bambini la circolazione, l’espressione e l’elaborazione di sentimenti, opinioni, pensieri, affinché ciascuno possa costruire il proprio Sè. Attraverso l’ascolto l’educatore non proporrà più automaticamente e senza riflessione macchinine ai bambini maschi e bambole alle bambine, solo perché tradizionalmente giochi da maschio e femmina. Imparerà invece a proporre quel che piace, per offrire lo strumento più adatto allo sviluppo di quel particolare bambino e bambina.
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